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Categoria: San Michele Arcangelo
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Il motivo del contrasto fra l'arcangelo Michele e il demonio costituisce un elemento ricorrente negli antichi testi italiani a carattere drammatico; esso si inserisce nel più generico quadro della lotta fra i principi opposti del bene e del male - perno di moltissime opere, teatrali e non - in cui il tema agonistico, oltre a quello demoniaco, segnala il probabile travaso in clima cristiano di forme drammatiche arcaiche di stampo pagano; nel contesto del dramma sacro, questo scontro vede fronteggiarsi personaggi divini e diabolici.

Com'è noto, l'Umbria costituì la culla del dramma sacro in volgare in un periodo che va press'a poco dalle seconda metà del Duecento a tutto il secolo successivo e oltre; l'attività teatrale, portata avanti dalle confraternite dei Disciplinati, fu segnata da un notevole avanzamento nella sua propagazione da Perugia a Orvieto; la raccolta compilata nel 1405 da Tramo di Leonardo, Disciplinato della Confraternita di San Francesco, riunì 37 composizioni di più Compagnie; esse costituiscono buona parte del teatro orvietano della seconda metà del XIV secolo e, essendo di varia provenienza, non seguono nella raccolta l'ordine del calendario liturgico, presentandosi piuttosto in forma di florilegio. Le rappresentazioni santoriali sono «episodiche, limitandosi a qualcuno de' miracoli narrati dagli agiografi»; la Leggenda Aurea pare costituirne la fonte privilegiata non solo, come indica il De Bartholomaeis, in relazione alle leggende di sant'Agostino, san Domenico e san Martino, ma anche a quella della nascita del culto micaelico sul monte Gargano.

All'interno della versione drammatica della leggenda (Come Cristo concedette all'Angilo Micchaele la sua casa del Monte Gargano) il contrasto fra Michele e il demonio viene rievocato nelle parole pronunciate dall'angelo durante la sua apparizione in sogno al vescovo:

Ie so l'Angil Michele
che la Superbia giò del Ciel cacciai;
ie so quel che le vele
calar feci a Lucife con suo' guai;
io che sempremai
l'alte cose di Dio vo annunziando
e' fedeli confortando
come per pruova si discerne e vede.

Si tratta di una sorta di autopresentazione in cui Michele, oltre a ricordare il proprio ruolo nella cacciata di Lucifero, descrive la sua funzione di operatore della psicostasi delle anime, a seguito della quale esse ricevono premio o condanna:

Anque dice L'Angilo:
Ie so co l'altri cori
dell'Angil a servir la Maiestade
dell'Alto Criatore,
attentu sempre a la suo voluntade;
da Lui ho potestade
di pesar co la mia bilancia iusta
qualunqua el mondo agusta,
rimunerando peccato e mercede.

Il corpus testuale dei Disciplinati orvietani annoverava anche una rappresentazione della Creazione del mondo, con cui si inaugura la raccolta di Tramo e che faceva a quanto sembra parte del repertorio dei Confratelli di San Giovenale; la drammatizzazione di tale argomento doveva presentare non poche difficoltà, non soltanto perché esso non costituiva l'oggetto di nessuna delle celebrazioni quotidiane della Chiesa, ma anche perché «i versetti della Scrittura non offrivano un testo così facilmente drammatizzabile come quelli de' Vangeli della Messa, e bisognava lavorarci di immaginazione. Il rimatore Orvietano affrontò questo tema formidabile, e seppe cavarne un dramma, ammirevole per semplicità letteraria e per grandiosità teatrale.»

[...]

In questo dramma corale in cui i ruoli individuali sono numericamente assai ridotti, è evidente che essi, proprio in quanto tali, acquisiscano un particolare rilievo sia sul piano della presenza scenica che su quello dell'impatto emotivo sul pubblico; l'analisi dello sviluppo drammaturgico dell'opera effettuata dal De Bartholomaeis può aiutare a coglierne la portata: all'inizio dell'azione compare sulla piattaforma superiore, solo, Dio Padre; gli passa a creare gli esseri che dovranno costituire la sua compagnia: chiamate progressivamente in scena, le gerarchie celesti a poco a poco la popolano; la prima parte del dramma si chiude con il loro canto corale, dopo di che il palco si svuota. A questa prima scena ne segue un'altra al centro della quale, solo, compare Lucifero:

L'angilo Lucibello ora appare solu e dice:
Perché non devesse io
Esser Signor, che so cotanto bello,
seder al par di Dio,
che so chiamato l'Agni Lucebello?

Appaiono i suoi seguaci e il palco si ripopola:

Quelli della sua setta ripiglono:
Nostro Signor novello,
or ci comanda mo subitamente,
però ch'ensiememente
seguir volemo come comensamo.

Lucibello dice:
La sedia mia
Verso dell'Aquilon vo che sia posta!
La mia gran signoria a Dio non vo che sia sottoposta!
Chi è da la mia costa
S'arapresenti ichì mantenente!

Quelli suoi rispondono:
E noi, ubidienti,
ad obedirte noi n'apperechiamo.

Mentre la schiera dei ribelli è pronta a giurare obbedienza, ricompare Dio con cui Lucifero ingaggia uno scontro verbale:

Dio Patre dice a Lucibello:
Tappin, che hai pensato?
Mettiti en colpa di tanto fallire!
Tu sa' ben ch'io t'ho creato,
te e l'altri Angeli, e tu nol puo' disdire.

Lucibello ripiglia:
Non ti voglio obedire
ormai, né tuo nome, né tuo verso!

Dio Patre ripiglia:
E di qui sia averso!
E nell'Inferno noi ti giudichiamo.

Anque Dio Patre dice:
Cherubin, Raffael,
milizie, eserciti ed altri Troni,
mettete Lucibel
en ell'Inferno coll'altri demoni!
E lì vi s'incoroni
Di serpenti, per maiur dispregio!
Di fuoco sia el suo segio!
E in tenebre sempre el danniamo!

I cori delli Angeli dicono a Lucibello:
Partete, Lucibello,
e ne la gloria più non dimorare,
dapoché si ribello
e con Dio Patre ti vuo' parlare!
Non ti più enduziare,
mettete en colpa al nostro Patre Dio.

La condanna di Dio e delle sue schiere non valgono a piegare l'orgoglio di Lucifero:

Lucibello risponde:
Testo non farò io,
ch'ad obidirlo non c'inchieniamo!

A questo punto lo scontro con Michele diviene inevitabile:

Michael solu dice a Lucibello:
Poché si ostinato
nel mal seguire, col falso latino,
e da Dio condannato,
vanne allo 'nferno, malvascio meschino!
Tosto ne va, tappino,
con tutta tua setta per tuo piacimento,
ché, per tuo fallimento,
messo te si in cussì fatto lamo!

La sconfitta del ribelle è sancita dalle parole pronunciate dalle schiere angeliche:

La Prima Gerensia dice a Dio Patre:
Alto Signor superno,
fatto avemo lo vostro mandato.

Seguita la Secunda Gerensia:
E messo nell'Inferno
Lucibello con sua setta chiamato.

E' evidente che, negli intenti dell'anonimo drammaturgo, la rappresentazione della creazione del mondo, con ogni probabilità recitata nel periodo di Avvento ed imperniata sulle fasi della doppia caduta di Lucifero prima e di Adamo ed Eva poi, doveva costituire l'indispensabile cornice per la messa in scena del titanico scontro; i personaggi principali della prima sequenza, che occupa 113 dei 242 versi totali, sono chiaramente solo tre - Dio Padre, Lucifero e Michele - e questi ultimi dovevano essere i veri catalizzatori della scena e dell'attenzione del pubblico. Le didascalie paiono confermare questa situazione: nell'arco dell'intera rappresentazione, l'avverbio solu viene infatti impiegato unicamente in relazione all'angelo ed al suo rivale, quasi in opposizione ad altre situazioni in cui si insiste invece sulla coralità dell'azione.

Laura Ramello, Università di Torino

Da AA.VV., L’Arcangelo Michele: dalla storia alla leggenda, a cura di G. Casiraghi, Stresa 2012, pp. 304, € 25,00