La Storia e le storie

E' vero che Il Nome della Rosa è stato girato alla Sacra? Quante volte ci è stato chiesto da qualche visitatore che, con il naso all'insù, cercava di scorgere la fine dello scalone dei morti e di capire cosa l'aspettava nella luce abbagliante oltre il varco del Portale dello Zodiaco. Questo è quello che scrive Umberto Eco in una lettera al Rettore dell'Abbazia datata il 20 febbraio 1995. "Caro Rettore ...

Dell'antica biblioteca di San Michele restano attualmente solo pochi manoscritti ed alcuni frammenti: il suo fondo librario è andato disperso e difficoltosa sembra la sua ricerca perché, a giudicare da quelli rimasti, i codici clusini non portavano scritte di possesso e neanche sono rimasti conservati inventari antichi della biblioteca (il più antico di essi è del 1621, di un anno precedente la soppressione del monastero!)
La provenienza si desume da elementi interni, ovvero da riferimenti nelle parti scritte a fatti, riti liturgici, fonti letterarie tipicamente di San Michele.

La biblioteca nell'XI secolo

La più antica testimonianza di esistenza di una importante biblioteca a San Michele ci è data dalla lettera che Ademaro scrive in toni polemici su Benedetto, priore di San Michele, nel 1028. Lo descrive ironicamente come 'grammaticus perfectus' e dice di lui che si vanta di non riuscire a leggere tutti i libri in suo possesso.
Una seconda testimonianza ci arriva invece da Guglielmo, intorno al 1100, nella sua Vita Benedicti II abbatis Clusensis che la indica come motivo di orgoglio e oggetto di cure costanti e arricchimenti. Secondo quello che racconta Guglielmo, l'abate si occupa personalmente della consistenza della biblioteca e della professionalità dei trascrittori, legge continuamente e impone di leggere le opere di Cassiano ai suoi monaci.
Di questa biblioteca dei tempi di Benedetto non resta oggi pressoché nulla, o nulla che siamo in grado di riconoscere.

L'unica testimonianza che ci resta è un foglio della prima metà dell'XI secolo, con l'inizio del XXII Libro dei Moralia in Job di Gregorio Magno, usato come copertina di un fascicolo notarile cinquecentesco e conservato all'Archivio di Stato di Torino nel fondo proveniente da San Michele della Chiusa.
Parecchi sono i fascicoli cinquecenteschi o seicenteschi di questo e di altri fondi che usano come rilegatura fogli di pergamena recuperati da manoscritti smembrati: molto probabilmente si trattava di codici non più in uso provenienti dalla stessa Abbazia a cui il fascicolo si riferisce, anche se non si può escludere provenienza diversa.
Il codice dei Moralia doveva essere un codice di lusso: porta intestazione e iniziali dipinte in argento e poteva essere miniato.

Costanza Segre Montel, Università di Torino
Sabato 8 maggio 1993

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