Dell'antica biblioteca di San Michele restano attualmente solo pochi manoscritti ed alcuni frammenti: il suo fondo librario è andato disperso e difficoltosa sembra la sua ricerca perché, a giudicare da quelli rimasti, i codici clusini non portavano scritte di possesso e neanche sono rimasti conservati inventari antichi della biblioteca (il più antico di essi è del 1621, di un anno precedente la soppressione del monastero!)
La provenienza si desume da elementi interni, ovvero da riferimenti nelle parti scritte a fatti, riti liturgici, fonti letterarie tipicamente di San Michele.
La biblioteca nell'XI secolo
La più antica testimonianza di esistenza di una importante biblioteca a San Michele ci è data dalla lettera che Ademaro scrive in toni polemici su Benedetto, priore di San Michele, nel 1028. Lo descrive ironicamente come 'grammaticus perfectus' e dice di lui che si vanta di non riuscire a leggere tutti i libri in suo possesso.
Una seconda testimonianza ci arriva invece da Guglielmo, intorno al 1100, nella sua Vita Benedicti II abbatis Clusensis che la indica come motivo di orgoglio e oggetto di cure costanti e arricchimenti. Secondo quello che racconta Guglielmo, l'abate si occupa personalmente della consistenza della biblioteca e della professionalità dei trascrittori, legge continuamente e impone di leggere le opere di Cassiano ai suoi monaci.
Di questa biblioteca dei tempi di Benedetto non resta oggi pressoché nulla, o nulla che siamo in grado di riconoscere.
L'unica testimonianza che ci resta è un foglio della prima metà dell'XI secolo, con l'inizio del XXII Libro dei Moralia in Job di Gregorio Magno, usato come copertina di un fascicolo notarile cinquecentesco e conservato all'Archivio di Stato di Torino nel fondo proveniente da San Michele della Chiusa.
Parecchi sono i fascicoli cinquecenteschi o seicenteschi di questo e di altri fondi che usano come rilegatura fogli di pergamena recuperati da manoscritti smembrati: molto probabilmente si trattava di codici non più in uso provenienti dalla stessa Abbazia a cui il fascicolo si riferisce, anche se non si può escludere provenienza diversa.
Il codice dei Moralia doveva essere un codice di lusso: porta intestazione e iniziali dipinte in argento e poteva essere miniato.
Costanza Segre Montel, Università di Torino
Sabato 8 maggio 1993