16 giugno 1855
Il Segretario introdusse da prima all'infermo i due medici, Debonis e Pogliaghi, e dopo che questi ebbero fatte le loro osservazioni sull'ammalato, accostatosi al letto disse: «Padre, il dottor Pogliaghi le recò da Milano una ottima medicina». E l'infermo guardandolo con occhio molto espressivo, disse: «Come! è dunque venuto il Manzoni? e perché l'avete fatto aspettare? Conducetelo qua subito».
Andò e tornò col Manzoni e col Pestalozza, e dietro loro qualche altro. Scena commoventissima! I due medici si fecero indietro, e i due illustri amici si avvicinarono, Manzoni a destra e Pestalozza a sinistra. L'occhio dell'infermo corse pieno di vita e di affetto prima al Manzoni che era entrato il primo, e presisi per mano, si guardavano fisso tacendo. Poi il Manzoni ruppe il silenzio, e i due grandi amici tennero il seguente colloquio.
«Ah! mio caro Rosmini! come sta?
- Sono nelle mani di Dio, e per ciò mi trovo bene. Ma lei, caro Manzoni, come mai venire a Stresa con questo tempo e appena uscito di convalescenza? Temo che soffra.
- Non so cosa avrei fatto per vedere il mio Rosmini.
- Eh! già lei ha voluto fare un atto di vera amicizia. E poi Manzoni sarà sempre il mio Manzoni, nel tempo e nell'eternità, dovunque io sia.
- Speriamo che il Signore la voglia conservare ancora tra noi, e darle tempo da condurre a termine tante belle opere, che ha cominciate: la sua presenza tra noi è troppo necessaria.
- No, no, nessuno è necessario a Dio: le opere che Dio ha cominciate, le compirà Lui, con quei mezzi che sono nelle sue mani, i quali sono moltissimi e formano un abisso, a cui noi possiamo solamente affacciarci per adorare. Quanto a me, io sono del tutto inutile, anzi temo di essere dannoso, e questo timore mi fa non solamente essere rassegnato alla morte, ma me la fa desiderare.
- Ah! per amor del Cielo non dica questo! Cosa faremo allora noi?
- Adorare, tacere, e godere».
Detto questo l'infermo commosso da straordinario affetto, strinse più forte la mano al Manzoni, e, tiratala più vicino a sé, le impresse un bacio. Il Manzoni sorpreso e fortemente turbato da tale atto, si abbassò per baciare egli pure la mano che teneva dell'amico, ma accorgendosi (come poi disse) che questo non avrebbe fatto altro che mettersi alla pari con lui, ne rimase confuso, e corse a piè del letto chinandosi sulle coperte, come se volesse baciargli i piedi; «unica maniera (sono sue parole) che gli rimanesse di riprendere il suo posto»; contro di che protestava indarno il Rosmini col gesto e colla voce, dicendo: «Ah! questa volta la vince, perché io non ho più forze».
Si ripresero la mano e tacquero alquanto.
(Francesco Paoli, Vita di Antonio Rosmini)