Per saperne di più in merito a Domenico Carutti di Catogno, il rimando obbligato è al sito della Treccani, dove sono disponibili tutte le informazioni sulla sua vita e sulla sua produzione letteraria.
Dalla raccolta dei suoi racconti di gioventù, pubblicati in prima edizione nel 1847 e in seconda edizione (rivista e corretta dall'autore) nel 1861 con il titolo di "Gioventù. Racconti", è tratta la seguente narrazione, che offre un'interessante testimonianza della Sacra vista da uno scrittore dell'Ottocento durante una scampagnata d'agosto...
Riprende da La Sacra per... un autore nel 1847 (I)
Eravamo giunti alla badia. Ivi fummo cortesemente accolti dal rettore dei Rosminiani che ora abitano il santuario; e visitatala a parte a parte, ritornammo nella foresteria aspettando l'ora del pranzo. Sulla tavola eravi la descrizione della Sacra fatta dall'Azeglio; io stavo leggendo come Ugone di Montboissier, gentiluomo dell'Alvernia, travagliato dai rimorsi se ne andasse a Roma colla sposa Isengarda per ottenere perdono dei suoi misfatti, e venisse assolto, a condizione tuttavia che a sua scelta vivesse sett'anni esule dalla patria, od innalzasse un monastero. A questo s'attenne, e tale è l'origine della Sacra.
- Che cosa state leggendo così attento? mi domandò la signora Giuseppina.
- La descrizione della Sacra.
- Leggete ad alta voce.
- Per questa volta non vi disubbidirò. Ecco dunque:
«Il carattere generale di questo monumento di saracena architettura è una somma irregolarità, essendosi dovuto seguire gli andamenti del masso, ed una stravaganza di esecuzione, un non so che di fantastico e d'immaginoso, per cui si direbbe opera piuttosto degli angeli o di qualunque ignota specie di abitatori dell'aria, che frutto dell'ardire degli uomini. Infatti la facciata principale, ove l'architetto ha disposto qualche ornamento, è di un'altezza così smisurata che, a poterne godere, si vorrebbe essere sospesi in aria lungi almen venti volte lo stretto piano che è fra essa e lo scosceso del monte; nè può adesso lo spettatore altrimenti tutta abbracciarla che col pensiero, dopo averla da vari punti paritamente esaminata. Una scala esterna mezzo diruta conduce alla porta principale; ne comincia ivi un'altra che internamente sale fino al sommo dell'edifizio. Spunta per essa in più luoghi il sasso vivo, e sono lateralmente molti antichi sepolcri d'abati e di monaci, ornati alcuni di gotici scudi triangolari colle imprese dipinte e qualche avanzo di gotiche iscrizioni. In un'altra nicchia stanno, quasi a guardia del passo, più cadaveri essicati dal tempo, aggruppati intorno ad una croce, semicoperti di cenci; né si potrebbe all'orrida maestà del luogo, alla solitudine ed al silenzio interrotto solo dall'antico romito custode del santuario, trovar più spaventevole compagnia e ad un tempo stesso più conveniente.»
- La scala de' sorci, non è vero, disse Alberto.
- La scala dei sorci? domandò l'amico del proprio paese.
- E' una storia che fa raccapricciare, una storia degna di Anna Ractliff, soggiunse Alberto. Abbiate pazienza se interrompo la lettura; ma il libro lo leggerete a bell'agio; la mia storia non è ancora stampata. Ascoltatemi adunque.
«Era venuto ad abitare la Sacra, in qualità di pensionario, un uomo misterioso che non parlava con anima viva, stava le intiere giornate a picchiarsi il petto, accusandosi peccatore e indegno del perdono divino. La sua fisonomia, veduta una volta, non si dimenticava più. Lunga la barba, folte le sopracciglia, occhio fulmineo; usciva di rado, la sua vita anteriore, la sua nascita, tutto era mistero. Gli uomini per natura sono curiosi de' fatti altrui, e quando non riescono a scovar nulla, inventano a dirittura. A poco a poco si cominciò a bisbigliare fra i montanari ch'ei fosse un mago, un eretico, un cannibale, e che ora scontasse le enormità d'una volta. Il pentimento era bell'e buono, ma la fama di magia e di cannibalismo metteva paura nelle buone donne, che al suo apparire si facevano il segno della croce e nascondevano in casa i bambini. Dopo qualche anno morì, e con lui il vecchio sacrestano della badia. A quest'ultimo venne surrogato Bernardino, uno di coloro per l'appunto che avea sempre tremato all'aspetto dello sconosciuto.
Frattanto corre voce ne' dintorni che una sera di sabato era stato veduto uno sformato fantasma errare sullo spianato della Sacra; incontanente tre o quattro vecchie giurano di averlo incontrato mentre uscivano dalla stalla per andare a letto; il fantasma non poteva essere altro che il mago morto allora. Messer Bernardino non aveva membro che tenesse fermo dalla paura. E pensar che bisognava ogni sera andar a chiudere il portone da basso! Prima gli parve scorgere un non so che di bianco; poi si sentì tirare per le gambe mentre saliva; un'altra volta gli svolazzò sulla testa un uccellaccio nero... E dover discendere pur sempre e salire la spaventevole scala, con quegli scheletri armati di rocche e di falci!
Una sera il vento soffiava forte; Bernardino, tirato il catenaccio della porta da basso, saliva colla tremerella guardandosi attorno. Un buffo di vento gli spegne la lanterna che avea un vetro rotto. Bernardino è allo scuro. Getta un grido, si accosta tentone al muro, monta un gradino, due e... crac crac, ode qualcosa camminare dietro di sé... Crac crac, il passo stridente come di ossa che si freghino insieme, continua sempre. Bernardino venne tutto meno; ma siccome il terrore dà un certo coraggio anche a chi non l'ha, egli comincia a fare gli scalini a quattro a quattro: giunge alla seconda porta sopra la scala... e la trova chiusa! Il vento, sbattachiandola, l'avea serrata, e la chiave era nella toppa dall'altra parte.
Il sacrestano, più morto che vivo, picchia due forti colpi... In questa un lampo rompe la folta tenebra... Bernardino vede o gli par di vedere un teschio che cammina sulla scala. Manda un secondo grido più acuto del primo, ripicchia due colpi più forti dei due già dati... e il tuono che vien dietro al baleno scroscia con terribile fragore, ne tremano le solide mura della badia, i vetri cadono dai telai delle finestre!... e crac crac, il teschio seguita a camminare!
Il rettore che recitava il breviaro nella sua camera, al grido ed ai colpi discende col lume in mano, apre la porta, e scopre Bernardino pallido, stravolto, spiritato.
- Che è questo? ti sei serrato fuori da te stesso, imbecille?
- Lasciami fuggire, fuggiamo per carità.
- Che c'è? perché fuggire?
- Fuggite... Non vedete?... Ecco... un morto che cammina!
- Un morto?
- Ah!! guardate! si muove!!
Il rettore vide infatto anch'esso un teschio che si moveva, producendo quell'orribile crac crac, che tanto spavento avea messo in corpo al povero sacrestano.
Un brivido gli corse per le ossa... si arretrò d'un passo anch'esso il padre rettore... Poi, vergognandosi e raccogliendo tutte le forze dell'animo, si avanzò...
Bernardino, intirizzito, ghiacciato, giallo come un corpo dissotterato, guardava, guardava e non tremava più... era di sasso!
Il rettore avea discesi venti scalini: sul ventunesimo passeggiava il teschio coi denti inchiavati, colle occhiaie vuote...
Alzati gli occhi al cielo, lo tocca, lo rovescia e vede...»-
- Signori è dato in tavola.
Con quest'annunzio Alberto fu interrotto sul meglio del suo racconto da uno dei servi. Nessuno di noi fiatava, tutti pendevamo dal suo labbro.
- Andiamo a pranzo, diss'egli, che è tardi.
- Finite, finite, gridammo tutti ad una voce.
- Ebbene, continuò Alberto, il rettore toccò il teschio, lo rovesciò... e... e vide uscirne un grosso sorcio, innocente cagione di tanto spavento.
(continua)