Nel nostro viaggio nella storia attraverso gli archivi de La Stampa, pubblichiamo oggi un lungo articolo di presentazione della "Sagra" di San Michele al pubblico del 1934.
Da notare, ovviamente, oltre alla datazione, è la presenza anche di alcune imprecisioni nell'esposizione della storia del monumento, dimostrazione di quanto, comunque, nell'ultimo secolo il mai cessato interesse nei confronti dello stesso abbia spronato storici e studiosi a ridefinire alcuni contorni delle vicende più e meno antiche.
Buona lettura...
Itinerari periferici: La Sagra di San Michele
La grandiosa mole, che troneggia su M. Pirchiriano, a 916 m. di altitudine, che scruta la Val di Susa e vigila da tanti secoli sul corso della Dora, è uno dei migliori monumenti nazionali che esistano in Italia. La sua statica rigidità, l'arditezza della sua costruzione dapprima sgomentano. I diversi stili che si sovrappongono, l'imponenza degli scaloni di accesso, le stravaganti figurazioni scolpite, la storia è l'arte che insieme parlano col linguaggio dei secoli, rendono il luogo interessantissimo agli studiosi e ai profani.
Nota d'insolita gaiezza
Da Giaveno si può salire per la rotabile, recentemente inaugurata, che accede alla Sacra per Valgioie e la Braida. Strada ottima per chi ama le comodità.
A chi vuol godere più suggestivo panorama consigliamo la mulattiera da S. Ambrogio, attraverso la ridente frazione di S. Pietro. Il percorso offre molti elementi di studio; dovunque balzano le rocce verdi, di età mezozoica, levigate, e arrotondate dal movimento del ghiacciaio che un tempo adagiavasi sulla valle della Dora Riparia e sboccava nella pianura torinese; tra l'erbe ondeggiala flora d'alta montagna; tra l'ombre dei castagneti pullula la fauna più varia. La frazione di S. Pietro, oltre ad offrire un ottimo campo di vista, ha la comodità di qualche alberghetto pulito, dove i prezzi sono modesti e un piatto di buona cera sempre pronto.
Quando siamo saliti, su per la mulattiera ai snodava, una lunga teoria di giovinette della Scuola «Maria Letizia» di Torino. La nostra giovinezza, nell'imponente scenario, recava una nota d'insolita gaiezza e contrastava con la severità dei luoghi.
Forza politica e necessità sociale
La leggenda vuole che sulla vetta del monte sia esistito un tempio pagano; che esso sia stato trasformato al culto di Cristo da Alboino, re dei Longobardi. Qui l'Arcangelo San Michele si sarebbe insediato dando il nome alla località. Cessata la dominazione dei Longobardi, il sacello sarebbe rovinato. Nel 997 si sarebbe trasferito sul Pirchiriano Giovanni Vincenzo Morosini. Costui, con l'intenzione di fabbricarvi una chiesa e un convento, di trascorrere vita monastica, si era dapprima ritirato sul M. Caprasio. Messosi al lavoro con l'aiuto di alcuni amici, vide che i materiali radunati in una giornata, nella notte seguente erano trasportati da una prodigiosa forza ignota sul Pirchiriano. Per questo fatto e per l'apparizione dell'Arcangelo San Michele che gli avrebbe espresso la divina volontà, il Morosini avrebbe compreso dove doveva edificare la sua chiesa. La storia narra che chi fornì i mezzi per compiere rapidamente la costruzione fu l'alverniate Ugo di Montboissier (anno 1000).
Sull'erezione e la consacrazione del tempio si raccontano altre leggende, sulle quali per brevità sorvoliamo. (Vedi d'Azeglio «I miei ricordi»). Accanto alla costruzione della prima chiesa, successivamente fu edificato il convento che, affidato all'Ordine di S. Benedetto, rappresentò per qualche secolo, in tutta la zona circostante, una forza politica e una necessità sociale di primo piano.
Indebolita l'autorità imperiale, affermatasi l'autarchia dei principi e feudatari, anche la Sacra di S. Michele fu coinvolta nella lotta delle investiture.
Apogeo e decadenza
Nel 1216 l'abbazia toccò l'apogeo della sua fortuna. La sua giurisdizione si estese a 120 monasteri, chiese e priorati. I monaci raggiunsero il numero di duemila. La sua scuola gareggiò con le più celebri. La sua biblioteca, dotata di codici preziosi, di non meno, preziosi manoscritti, fu una delle migliori. La chiesa primitiva fu ingrandita. Per l'amplificazióne, non bastando come base la modesta superficie della vetta, si gettò quel magnifico basamento, alto circa 20 metri, che tuttora si vede anche all'esterno. Così accanto alle forme antiche dell'arte romanica sorsero le non meno imponenti dell'arte gotica.
Verso la Pasqua del 1368 l'abbazia fu assalita e devastata dagli inglesi del Bossons. Il doppio salto della bell'Alda, che tutti i torinesi conoscono, è dì quell'epoca. Dopo molte altre vicende, a cui sarebbe troppo lungo accennare in un semplice articolo, la Sacra passò in possesso ai Savoia. Nel 1632 Papa Urbano VIII decretò la soppressione dell'ordine benedettino alla Sacra. E alla rovina morale successe quella materiale. La volta della chiesa cadde con altre parti del convento. L'abbazia restò nell'oblio finché i Savoia ne decisero la restaurazione, Nel 1836 ne fu affidata la custodia ai padri Rosminiani. Monte Pirchiriano fu sconvolto dal terremoto nel 1885 e 1886. Si aprirono grandi fessure nella cappella privata, nel coro vecchio, nel coro della chiesa, nel muro sud-est della chiesa stessa. I restauri, cominciati subito, furono intensificati nel 1929. Non sono ancora finiti.
Tre età
Tre età balzano all'occhio tra là confusione e la sovrapposizione degli stili: l'angelica, quando la Sacra era rifugio di monaci e meta di pellegrini; la feudale, quando guerrieri di tutte le razze avvicendavano carichi di ferro e avidi di rapina; l'aulica, quando i Savoia presero possesso del monumento, vi seppellirono i loro morti, fecero ricostruire le volte pericolanti.
Il portale d'accesso alla chiesa, la chiesa stessa con la sua enorme colonna centrale che misura il diametro di m. l.50, i capitelli coi simboli dell'Apocalisse, gli affreschi, il sarcofago gotico dell'abate Guglielmo di Savoia, il coro vecchio, la cripta dei Savoia, il campanile a bifore e trifore ecc., fanno della Sacra di San Michele una vera oasi di mistico raccoglimento. Chi non la conosce, vada. Chi l'ha già vista, ritorni. Un monumento di questo genere ha sempre qualche nuovo angolo da rivelare al visitatore.
C.F.
16 luglio 1934