Dal 1503 al 1522 era Abate Commendatario di San Michele della Chiusa Urbano di Miolans, figlio, fratello, nipote di marescialli di Savoia, Vescovo di Valenza. Di lui quasi certamente ci rimane il ritratto nel pannello destro del trittico di Defendente Ferrari.
Priore claustrale in quel periodo era Giovanni di Monfalcone, priore che ha avuto una grande importanza per i lavori di ripristino dell’abbazia. A lui dobbiamo la committenza, nel 1505, del grande affresco dell’Assunta. In questo grande affresco vediamo nella scena inferiore “Gesù calato nel sepolcro”, la migliore per l’espressivo dolore dei visi, il movimento accentrato delle persone, la semplice freschezza dei colori.
In questa sepoltura vediamo che Gesù viene calato nel sepolcro con un lenzuolo, la Santa Sindone.
Settantatre anni dopo, il 17 ottobre 1578, San Carlo Borromeo, che si trovava a Torino per onorare la Santa Sindone, si portò a Giaveno e salì al monastero clusino con alcuni familiari e il nipote, il figlio di una sorella, Guido Ferrero Abate Commendatario di San Michele dal 1560 al 1584.
Recentemente la Biblioteca abbaziale è venuta in possesso di un documento che descrive questa visita, documento quasi certamente risalente alla seconda metà del 1600, epoca in cui l’Abate Commendatario Antonio di Savoia ordinò al suo segretario Francesco Clerc di raccogliere e trascrivere tutti i documenti riguardanti l’Abbazia.
Ecco cosa ci dice il documento.
«Quando il Beato Carlo Cardinale, partendo da Milano a piedi con alcuni religiosi suoi familiari, andò in pellegrinaggio a Torino per visitare il Santo Sudario nel quale fu avvolto il Santo corpo di Nostro Signore Gesù Cristo nel sepolcro, fu raccolto con dimostrazioni di incredibile onore da Emanuele Filiberto Duca di Savoia, e trovò nella medesima Città il Cardinale di Vercelli suo cugino, che fu di incredibile consolazione all’uno e all’altro.
Avendo dunque il Beato Cardinale con diverse azioni spirituali soddisfatto al suo pio desiderio in quella Città e dovendo tornare, fu invitato e pregato dal Cardinale di Vercelli a fargli grazia di andare con esso lui a visitare una sua Abbadia lontana dieci miglia da Torino posta all’entrata della Val di Susa sotto il titolo di San Michele de Clusa, chiesa insigne ed antichissima e altre volte capo di ordine, edificata sopra la sommità di uno altissimo scoglio. Accettò egli prontamente tale invito e vi andarono di compagnia, e fu ricevuto in Giaveno, terra della medesima Abbadia e lontana da quella tre miglia. Così il giorno seguente vi andarono Ambedue con le loro famiglie.
Nel monastero di detta Abbadia vi erano alcuni monaci professi sotto la Regola di San Benedetto fino al numero di venti e più, soliti di vivere con molta libertà e con pace osservare della regola come quelli che da molto e molti anni non avevano avuto altro superiore che il Commendatario, il quale non facendo residenza non aveva avuto più cara che tanto di ritirarli dalla inveterata vita licenziosa, se bene il Cardinale di Vercelli aveva dato qualche principio ma con non molto progresso essendo stati negletto e assuefatti a quella maniera di vivere.
Avvicinatosi dunque li due Cardinali per un quarto di miglio e più al Monastero vennero tutti li monaci fuori ad incontrarli con i piviali e con la croce armati, senza che di ciò ne fosse loro dato ordine alcuno, ma quel che diede meraviglia fu che apparvero tutti con le barbe rase, cosa non fatta mai, né da quelli né dai loro antecessori per memoria di uomini.
A questa vista così il Cardinale di Vercelli come quelli della sua famiglia non si poterono contenere dalle risa vedendo una novità tale e meravigliandosi il Beato di questo, gli disse il Cardinale di Vercelli, se io od altro superiore avessi ordinato a questi monaci, sotto qual si voglia pena, che si radessero le barbe havriano certissimo ricusato di farlo, et hora la sola presenza vostra gli ha indotto a radersi tanto è il rispetto, che anco da poco religiosi, si porta alla virtù ed al nome vostro, di che egli ne lodò Dio.
Visitarono la chiesa e il monastero con molta consolazione, e il Beato Cardinale commentando l’azione virtuosa che li monaci haveano fatta gli esortò all’osservanza della disciplina ecclesiastica conforme alla regola che avevano professato, che non fu di poco giovamento, essendosi con minor difficoltà accomodati a vita più regolare.
Io Fabio Patriarca Hierosolitano quanto sopra scrissi.»
GIGI
Articolo precedentemente pubblicato su Sacra Informa Settembre 2010 (Anno 18 (14) n. 2)